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"E quello è stato un anno in cui studiare mi è piaciuto”. Memorie d'infanzia

Editore:
Dipartimento di Formazione, Lingue, Intercultura, Letteratura e Psicologia dell'Università degli Studi di Firenze
Luogo di pubblicazione:
Via Laura, n. 48, 50121, Firenze (Italia)
Codice ISSN:
2785-440X
Autore della scheda:
DOI:
10.53221/1247
Scheda compilata da:
Chiara Martinelli
Pubblicato il:
07/02/2022
Nome e cognome dell'intervistatore:
Noemi Krashniqi
Nome e cognome dell'intervistato:
Giusto Bitossi
Anno di nascita dell'intervistato:
1943
Categoria dell'intervistato:
Studente
Livello scolastico:
Scuola primaria
Scuola secondaria di primo grado
Liceo
Università
Data di registrazione dell'intervista:
22 maggio 2020
Regione:
Toscana

Indicizzazione e descrizione semantica

Identificatori cronologici:
1950s 1960s
Identificatori di nome:
Giulio Natta

L’intervista, della durata di 1:02:41 minuti (link: https://www.youtube.com/watch?v=2-gvpN77uRk) si focalizza sulle memorie scolastiche e infantili di Giusto Bitossi. I genitori erano entrambi laureati: il padre esercitava la professione di medico; la madre, laureata in matematica, aveva insegnato in un liceo prima di licenziarsi in seguito al matrimonio, secondo il costume dell’epoca (Bracke 2019, 34-8). Pur di origine fiorentina, nasce a Parma nel 1943, in quanto la madre, nell’approssimarsi della linea del fronte, aveva preferito trasferirsi presso la suocera nella città emiliana. Lì, infatti, l’approvvigionamento alimentare, diversamente da quanto avveniva nella città toscana, era ancora garantito. Pochi mesi dopo, tuttavia, torna a Firenze con la madre, e lì vi risiede fino alla conclusione della terza media; successivamente, si trasferisce con la famiglia a Pistoia, e qui frequenta il liceo classico “Forteguerri”. A Pistoia abitava in una casa molto grande, dotata di un ampio giardino: qui disponeva di una camera da letto con bagno personale. Era presente anche il personale di servizio: la domestica, e la ragazza alla pari che la madre assumeva affinché parlasse in tedesco con Bitossi e la sorella minore. Il suo percorso scolastico propriamente detto si è snodato dal 1949 – quando ha cominciato a frequentare la scuola elementare – e il 1961 – anno in cui ha conseguito la licenza liceale. Ha successivamente proseguito gli studi iscrivendosi in Ingegneria presso l’Università di Firenze (per il primo biennio) e di Pisa, laureandosi presumibilmente nel 1966. Bitossi ha dunque frequentato la scuola negli anni della ricostruzione e dell’esperienza centrista: anni caratterizzati dalla rigidità dei ruoli sociali e di genere, e dalla funzione della scuola quale validatrice dell’esistente (Crainz 2002, Galfré 2017, 168-82).

Il percorso scolastico è durato un anno meno del consueto: questo perché la madre decise, quando Bitossi aveva cinque anni, di pagare una maestra affinché lo preparasse per l’ingresso in seconda elementare. Su suggerimento di quest’ultima, insegnante in una classe elementare femminile, nell’ultimo trimestre il videointervistato seguì la maestra nel suo luogo di lavoro, in modo tale che si abituasse alla disciplina scolastica. Unico imprevisto fu costituito da una visita ispettiva, che costrinse il corpo docente della scuola a “nascondere” Bitossi al m. 17.14 «quelle orribili classi che esistevano all’epoca classi differenziali dove andavano ragazzi che avevano dei problemi» (Martinelli 2017).

L’intervistato, che non si sofferma molto sulle scuole elementari e medie (a cui, come accadeva prima della L. 1859/1962, si accedeva con un esame di ammissione), dedica invece molto spazio alla rievocazione dei suoi anni al liceo. Per quanto riguarda le elementari, rimarca soprattutto la visibilità delle differenze sociali: a questo proposito, il suo ricordo corre a un amico che, privo di maglioni, imbottiva le maglie con i fogli di giornale per non sentire freddo. Questo, tuttavia, non impediva secondo lui la familiarizzazione con compagni di classe di diversa estrazione sociale. Altro argomento toccato era il valore sociale della figura dell’insegnante, che i genitori non contraddicevano, anche quando non concordavano con il suo comportamento: «io ripensandoci mi sono reso conto della pochezza di alcuni miei insegnanti ma solo ripensandoci anni dopo allora non mi veniva neanche in mente di metterli in discussione» (m. 40.54 e ss). «questo faceva creava praticamente un fronte compatto proprio dei bambini e degli adulti bambini e ragazzi e gli adulti erano veramente due fronti e passare dall’uno all’altro nel periodo dell’adolescenza era anche un po’ travagliato insomma no un po’ di esitazioni un po’ po’ di timori di non essere all’altezza di non essere accolti» (m. 39.44).

Bitossi si descrive come uno studente svogliato, soprattutto negli anni del Liceo. I suoi hobby – soprattutto quelli del modellismo, della chitarra e delle partite ad hockey – stornavano infatti molto tempo allo studio. Nel resoconto di quel periodo, emerge la figura dell’insegnante di discipline umanistiche di quinta ginnasio e prima liceo: un insegnante giovane, precario e capace di utilizzare metodi di insegnamento innovativi. Esempio ne sia di quando, per invogliare Bitossi allo studio della lingua greca, gli promise che lo avrebbe dispensato dallo studio della grammatica qualora avesse svolto 180 versioni in un mese. Bitossi, coinvolto dalla sfida, si dedicò alla traduzione dal greco, divenendone versatissimo. Viene respinto tuttavia in prima liceo: sempre su suggerimento dello stesso docente di discipline umanistiche, Bitossi studia privatamente il programma di terza e in quarta in maniera congiunta. Lo studio privato e la possibilità di dialogare con i docenti lo motivano profondamente, come ricorda lui stesso nell’intervista: «e quello è stato un anno in cui studiare mi è piaciuto mi è piaciuto perché sentivo molto il rapporto diretto con l’insegnante che invece quando si è trentacinque in classe svanisce ovviamente e quindi studiare mi è proprio molto piaciuto mi è anche molto piaciuto perché quello che avevo abbastanza chiaro era l’obiettivo finale di andare a fare l’esame e superarlo» (m. 10.38 e ss).

L’intervista successivamente si sofferma sull’esame di maturità, del cui risultato Bitossi si dimostra abbastanza soddisfatto, e sul periodo universitario. Iscrittosi a Ingegneria, svolge il primo biennio all’Università di Firenze; confessa che avrebbe desiderato continuare gli studi all’Università di Milano per poter seguire i corsi con Giulio Natta, insignito con il premio Nobel per i suoi studi sulla plastica, ma alcuni esami di sbarramento che avrebbero bloccato per un anno i suoi studi lo indusse a ripiegare su Pisa. Interessanti sono, a questo proposito, le sue considerazioni sul divario di genere nella prosecuzione degli studi (Brache 2019, 34-8). Mentre per lui i genitori consideravano scontata l’iscrizione all’Università, non così si rivelò per la sorella: «che facessi l’università io era assolutamente scontato, non era neanche da mettersi in discussione la cosa che già allora mi sorprendeva e mi disturbava era che la stessa cosa non valeva per mia sorella eppure mia madre aveva combattuto con nostro padre per poter continuare gli studi e laurearsi in matematica» (m. 56.46 e ss).

La conclusione dell’intervista è dedicata al valore che la cultura umanistica, secondo Bitossi, esercita nell’ampliare gli orizzonti mentali.

Fonti

Fonti bibliografiche:

M. A. Bracke, La nuova politica delle donne. Il femminismo in Italia, 1968-1983, Roma, Edizioni di storia e letteratura, 2019.

G. Crainz, Storia del miracolo italiano: culture, identità, trasformazioni tra gli anni Cinquanta e Sessanta, Milano, Donzelli, 1996.

M. Galfrè, Tutti a scuola! L'istruzione nell'Italia del Novecento, Roma, Carocci, 2017.

C. Martinelli, Da "conquista sociale" a "selezione innaturale": le illusioni perdute delle classi differenziali nella scuola media (1962-1971), «Italia contemporanea», 285/2017, pp. 147-70.

 

Fonti normative

Legge 31 dicembre 1962, n. 1859, Istituzione della scuola media statale (GU Serie Generale n. 27 del 30-01-1963), permalink: https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/1963/01/30/062U1859/sg

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