Salta al contenuto principale

Leggere e scrivere prematuramente. Memorie d'infanzia di Susi Scaccini.

Editore:
Dipartimento di Formazione, Lingue, Intercultura, Letteratura e Psicologia dell'Università degli Studi di Firenze
Luogo di pubblicazione:
Via Laura, n. 48, 50121, Firenze (Italia)
Codice ISSN:
2785-440X
Autore della scheda:
DOI:
10.53221/334
Scheda compilata da:
francesco.bellacci
Pubblicato il:
26/10/2021
Nome e cognome dell'intervistatore:
Costanza Ferrati
Nome e cognome dell'intervistato:
Susi Scaccini
Anno di nascita dell'intervistato:
1964
Categoria dell'intervistato:
Studente
Livello scolastico:
Scuola secondaria di primo grado
Data di registrazione dell'intervista:
2020
Regione:
Toscana

L’intervista (https://www.youtube.com/watch?v=-HGpETz5WTc), della durata di un’ora e cinquantaquattro minuti, ha per oggetto le memorie di scuola e d’infanzia di Susi Scaccini, nata a Prato nel 1964.

La famiglia si spostò in città all’incirca nel 1961 dalle campagne aretine e senesi, dove vivevano rispettivamente la madre e il padre. Il cambiamento si inserisce nel più ampio contesto di esodo dalle campagne verso centri industrializzati, che stava interessando l’Italia in quegli anni (Galfrè, 2017). In questo specifico caso i genitori di Susi trovarono lavoro nel settore tessile: motore dell’economia pratese.

La testimone quindi cresce in periferia, dove ricorda un forte profumo di peperonata - a indicare la promiscuità delle origini degli abitanti, soprattutto dal meridione - e la dolcezza delle vicine di casa.

Scaccini frequenta solo per pochi giorni la scuola materna, in quanto “a quei tempi non era vista come una grande necessità” (03:20), ma anzi “come un supporto ai genitori più che per la formazione dei bambini” e perché le madri erano per lo più casalinghe e potevano occuparsi dei figli, mentre gli uomini andavano al lavoro (Galfrè, 2017). In definitiva il suo percorso di studi si interrompe con il diploma di scuola media.

La testimone arriva alle elementari sapendo già leggere e scrivere, perché impara da autodidatta in casa, spinta da una grande curiosità e passione.

La scuola elementare era distante 250 metri da casa, perciò la raggiungeva da sola a piedi, insieme ad altre bambine.

La lezione iniziava salutando il maestro alzandosi in piedi e proseguiva con le spiegazioni e qualche esercizio a fine orario. Ogni lezione durava un’ora e a metà mattinata c’era anche la ricreazione, dove i ragazzi mangiavano la merenda preparata dalle mamme, oppure comprata dal fornaio.

L’abbigliamento consisteva in un grembiule e un fiocco colorato a seconda della classe.

Una delle figure più approfondite durante l’intervista è quella del maestro Silvio Bernardi: un insegnante “speciale” e buono, contrario alle punizioni, che proponeva esperienze didattiche coinvolgendo i bambini e utilizzando l’ambiente circostante e naturale come i temporali e i fulmini.

Per quanto riguarda lo studio a casa Susi e le sue amiche non venivano aiutate dalle mamme, che erano “nella nostra estrazione sociale […] quasi analfabete” (04:52).

Le scuole medie, anche queste molto vicine all’abitazione, erano in un seminterrato della chiesa. Un ambiente fatiscente, non molto consono a una scuola.

La testimone si ricorda in particolare della professoressa Anna Uva, che insegnava italiano e vestiva con una scarpa rossa e una nera “perché aveva la testa sempre sull’epica” (12:30), e il professore Giulio Bucci di matematica, molto buono, ma che a volte dava punizioni mettendo i bambini fuori dalla classe.

Susi puntualizza che all’epoca c’era profondo rispetto per i professori. La sua parola non veniva mai messa in discussione, neanche dai genitori e inoltre “[noi] non ci si sognava di discutere, avevamo sicuramente sbagliato” (14:25).

Al minuto 19:30 il racconto si sofferma sulla differenza tra zaino, che indossavano i ragazzi più “poveri”, e cartella, portata dai più abbienti.

Intorno al minuto 20:55 vengono mostrate foto di classe e la testimone parla dettagliatamente dell’arredo, della disposizione dei banchi e degli oggetti, anche di quelli personali come penne, fazzoletti, scarpette. Al minuto 32:00 mostra un quaderno frutto di un lavoro di classe.

Per studiare e fare i compiti a casa il materiale, come enciclopedie, libri e riviste, veniva condiviso tra ragazze e ragazzi della stessa classe, che vivevano anche nello stesso quartiere.

Viene mostrato il diario (49:40), che non veniva usato solo per la scuola, ma soprattutto come vero e proprio diario di vita: venivano conservate immagini, ritagli di giornale, biglietti, foto, e veniva condiviso con le amiche che a loro volta lasciavano una dedica o qualcosa di personale.

Nella famiglia di Susi la mamma era quella “delegata” a seguire l’andamento scolastico dei figli. C’erano i ricevimenti, ma i genitori non andavano, se il giudizio nella pagella era stato positivo: c’era fiducia nel lavoro e nelle valutazioni del professore.

Molto interessante è il punto di vista della testimone sulla considerazione che gli adulti avevano nei confronti dell’istruzione: “Era importante che si sapesse leggere e scrivere, che si sapesse due o tre date, però poi non era fondamentale […] che si sapesse tutti tante cose. Non era così desiderato che un figlio facesse poi il liceo” (37:10). “C’era richiesta di lavoro […] la cultura veniva vista come fonte di lavoro, non come richiesta personale” (37:45): studiare, quindi, significava spesso prepararsi esclusivamente al lavoro (Oliviero, 2007).

I bambini, dal canto loro, non vivevano la scuola come qualcosa di imposto o che avrebbe influito sul loro futuro, ma erano “consapevoli di dover essere educati” (41:20).

Dopo le scuole secondarie di primo grado l’intervistata, spinta dal volere del padre che cercava per lei un titolo di studio che potesse sfruttare facilmente nel mondo del lavoro, si iscrive a un istituto per commercialisti, che però frequenta solo per poche settimane. Infatti, tramite un’amica trova lavoro in un’azienda tessile e, affascinata da una certa indipendenza economica, abbandona la scuola. Una tendenza tutt'altro che inusuale per quell'epoca (Oliviero, 2007).

Susi parla anche della scelta dei genitori di non mandare la figlia a scuola a Firenze, perché “in quegli anni [1979] c’era il problema della droga, era veramente un rischio” (47:05).

Dal minuto 51:00 la testimone fa un confronto tra la condizione di bambina ai suoi tempi e quella di oggi. Anche il gioco, dice, aveva una valenza educativa, infatti bambole e passatempi venivano condivisi tra bambini: “c’era molto rispetto dei giochi degli altri. […] Tramite il gioco veniva insegnato il rispetto dell’oggetto” (57:20).

Dal minuto 59:00 la testimone parla dell’esplosione dei consumi, soprattutto dalla fine degli anni ’70: “fu lì che s’è perso il valore delle cose” (59:19). La famiglia, comunque, è stata molto attenta al risparmio “forse perché essendo di estrazione contadina gli erano [ai genitori] mancate così tante cose che […] avevano il desiderio di costruire qualcosa” (59:33) (Bravi, 2021).

L’intervista prosegue poi entrando in profondità della vita quotidiana extrascolastica, a partire dall’abitazione. Composta da 4 stanze, la casa non aveva il bagno, ma c’era fuori un bugigattolo senz’acqua da condividere con altre due famiglie. Dopo non molti anni, tuttavia, il padre costruì il bagno in soffitta.

Il bucato veniva fatto al lavatoio pubblico, dove “si cantava anche” (1:07:54). Un rito al quale in un certo senso partecipavano anche gli uomini corteggiando le donne.

Anche la televisione ritorna nelle memorie di Susi. Programmi che le piacevano erano i varietà con Pippo Franco e Gabriella Ferri e i film di Totò, “anche se non eravamo troppo innamorati della televisione” (1:09:07). Guardare la televisione durante i pasti, “mi ha fatto capire che [la TV] era un problema […] per i rapporti familiari. […] A me sembrava che tutto [oltre a Carosello] fosse una gran pubblicità” (1:09:20). A differenza della televisione “a casa nostra la radio era sempre accesa” (1:13:00).

Dal minuto 1:21:00 parla dell’alimentazione che cambia da essere esclusivamente tipica toscana a introdurre piatti e ingredienti “americani”. La spesa veniva fatta in un alimentari, ma verso la fine degli anni ’70 il padre iniziò a fare la spesa al supermercato.

L’intervista, poi, continua incentrata su aspetti di vita giovanile, come le uscite, le serate in discoteca e i vari divertimenti.

Fonti

Fonti bibliografiche:

G. Bandini, S. Oliviero, Public History of Education: riflessioni, testimonianze, esperienze, Firenze, Firenze University Press, 2019.

L. Bravi, La televisione educativa in Italia. Un percorso di storia sociale dell'educazione, Roma, Anicia, 2021.

P. Causarano, Riforme senza storia. Insegnanti di storia e reclutamento professionale nella scuola italiana all’inizio del millennio, «Italia contemporanea», vol. 286, 2018, pp. 239-256.

M. Galfrè, Tutti a scuola! L'istruzione nell'Italia del Novecento, Roma, Carocci, 2017.

S. Oliviero, La scuola media unica: un accidentato iter legislativo, Firenze, CET, 2007.

 

Contenuto pubblicato sotto licenza CC BY-NC-ND 4.0 Internazionale