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"Per gente come me che faceva fatica a uscire dal dialetto" Memorie d'infanzia

Editore:
Dipartimento di Formazione, Lingue, Intercultura, Letteratura e Psicologia dell'Università degli Studi di Firenze
Luogo di pubblicazione:
Via Laura, n. 48, 50121, Firenze (Italia)
Codice ISSN:
2785-440X
Autore della scheda:
DOI:
10.53221/1444
Scheda compilata da:
Chiara Naldi
Pubblicato il:
28/02/2022
Nome e cognome dell'intervistatore:
Leonardo Cremonesi
Nome e cognome dell'intervistato:
Franco Codenotti
Anno di nascita dell'intervistato:
1952
Categoria dell'intervistato:
Studente
Livello scolastico:
Scuola primaria
Scuola secondaria di primo grado
Scuola secondaria di secondo grado
Data di registrazione dell'intervista:
18 agosto 2020
Regione:
Lombardia

Indicizzazione e descrizione semantica

Identificatori cronologici:
1950s 1960s 1970s

L’intervista della durata di 42:03 minuti (https://www.youtube.com/watch?v=mzkg_r7ZEZU), registra i ricordi d’infanzia di Franco Codenotti, nato a Brescia il 30 marzo 1952, la cui esperienza sociale nell’infanzia e nell’adolescenza fu circoscritta al suo paese, dove abita tutt’oggi (Crainz 1996). Gli amici erano i compagni di scuola e i vicini di casa. Figlio unico, il padre del 1914 e la madre del 1921, Codenotti ha una sorella Carla nata nel 1946. Una famiglia normale, racconta, dove ha ricevuto l’educazione principalmente dalla madre. Ha frequentato cinque anni di elementari nel suo paese, la frazione Botticino Sera nel comune di Botticino, ha avuto soltanto una maestra in prima e poi “siamo stati fortunatissimi ad avere un grande maestro” [02:39]: Attilio Falorini, un trentino, socialista, tutti lo ricordano con emozione perché è un uomo che ha insegnato molto anche oltre i concetti base. Alle scuole medie statali, nate nel 1962, ebbe una varietà d’insegnamenti tra cui anche un’infarinatura di francese di cui rammenta la difficoltà “per gente come me che facevano fatica a uscire dal dialetto” [3:31]. Contrariamente a quanto aveva chiesto di frequentare, Codenotti voleva essere perito agrario, ma il padre gli impose di iscriversi l’istituto di ragioneria: qui fece il primo anno da interno, fu poi “premiato” con l’espulsione dal collegio diventando esterno (Galfrè 2019). Andava a scuola con la cartella in finto cuoio e indossando la “blusa”, una mini divisa blu per tutti uguale, c’erano cinque classi con due sezioni, erano all’incirca una ventina di ragazzi alle elementari: avevano la ricreazione finalizzata al gioco non alla merenda. La colazione con caffelatte e pane marmellata e zucchero era la colazione a casa e bastava fino al rientro. L’intervistato racconta che pranzavano a casa e dopo non avevano molti compiti, il ciclo di apprendimento si concludeva a scuola. Il pomeriggio perciò era dedicato al gioco, un’attività liberatoria, per quelli come lui “che non hanno avuto i giochi con le pile, eri costretto a usare la fantasia” [7:42]. Si sofferma poi sul corredo scolastico: in borsa portava i quaderni a righe e a quadretti, aveva un astuccio di legno con dentro i pennini perché scrivevano con l’inchiostro e ricorda che la mattina il bidello passava in classe a riempire il calamaio d’inchiostro. Avevano sempre a portata di mano la carta assorbente, dovevi metterci attenzione per non causare macchie nella scrittura, lo ricorda come un buon esercizio. L’intervistato ricorda molto dettagliatamente il periodo delle elementari e descrive la sua passione per il disegno attraverso il ricordo di una scatola di lamiera, dove conservava matite colorate della Faber. Ricorda anche i colloqui delle elementari: l’insegnante era del paese perciò la funzione dei colloqui si svolgeva con i genitori quando s’incrociavano in paese e chiedevano, anche con timor reverenziale, l’andamento scolastico del figlio. Un aspetto che ricorda ma che giudica improprio invece era il doversi alzare in piedi per salutare il maestro al suo ingresso in classe, era un’autorità riconosciuta ma quest’aspetto lo ritiene eccessivo, compresa ad esempio l’ispezione delle mani al mattino per controllare l’igiene delle unghie. A tal proposito racconta che veniva lavato dalla madre nello stesso mastello in cui lavava i panni, “conquistò” il bagno quando già era alle medie. Prosegue la sua testimonianza soffermandosi su alcune materie come Religione, a suo giudizio era una materia invadente che hanno dovuto subire, anche se difende la presenza dell’Oratorio come luogo di ritrovo. A una sorta di Educazione Civica riconduce la Festa degli Alberi, che consisteva nell’andare a piantare gli alberi, ancora oggi sopravvissuti ma non c’era bisogno di una specifica Educazione Civica “non avevamo il problema del rifiuto, non avevamo tutto quello che purtroppo vi abbiamo lasciato in eredità” [13:37] (Galfrè 2017). Le gite scolastiche erano vedere i teatri di guerra: li portavano a vedere i cimiteri, mentre i musei li ha visti in età adulta.  L’intervistato andava a scuola a piedi. Le classi erano miste ma c’erano pochissime bambine e stavano isolate rispetto ai bambini, afferma di aver mantenuto certe amicizie negli anni. L’intervistato si sofferma anche sui momenti liberi e sulla fruizione ad esempio della musica: ritiene i Beatles degli innovatori che hanno aperto la testa delle persone, la sua generazione è stata fortunata ad averli. Ricorda anche la trasmissione radiofonica di Gianni Boncompagni e Renzo Arbore Alto gradimento, a suo avviso la più bella dell’epoca. Ricorda i primi eventi sportivi ascoltati alla radio, come il pugilato e la bicicletta. Le ferie componevano una parte di vita collettiva perché le passava in colonia, sia al mare sia in montagna, anche lì con la divisa e le suore. Sono cresciuti bene dichiara, soffermandosi sugli aspetti sociali dell’epoca, ad esempio la droga ancora non esisteva e quando è cambiato il clima sociale era già più adulto: ricorda lo slancio verso Mario Capanna e il movimento studentesco. L’intervistato spiega l’ampia base operaia che c’era al suo paese definendo i lavoratori della cava “sanguignamente comunisti”, l’agire in forma collettiva era componente essenziale. Nel tempo libero giocava a palla all’Oratorio, l’intervistato ricorda la competizione nel gioco, sul sagrato della chiesa giocavano a figurine, poi a biglie. L’intervistato si sofferma poi sulla lettura: Dalla madre aveva imparato la curiosità e la voglia di leggere e la voglia di leggere è stata il supporto per tutta la vita. Il libro che ancora oggi legge come una Bibbia è il Manuale minimo dell’attore di Dario Fò, a fianco considera poi Pasolini. Ricorda poi che rimase folgorato dalle moto da corsa nel 1967. Codenotti conclude, con un bilancio di giudizio sulla sua generazione che reputa una generazione fortunatissima, perché nessuno più di loro riesce ad apprezzare quello che c’è oggi: parte del merito lo attribuisce al suo maestro delle elementari che, sforzandosi dice, gli ha insegnato il concetto di “bene comune”.

Fonti

Fonti bibliografiche:

M. Galfré, La scuola è il nostro Vietnam. Il ’68 e l’istruzione secondaria italiana, Roma, Viella, 2019.

M. Galfré, Tutti a scuola! L’istruzione nell’Italia del Novecento, Roma, Carocci, 2017.

G. Crainz, Storia del miracolo italiano: culture, identità trasformazioni tra gli anni Cinquanta e gli anni Sessanta, Milano, Donzelli, 1996.

Fonti normative:

LEGGE 31 dicembre 1962, n. 1859, Istituzione e ordinamento della scuola media statale(GU Serie Generale n.27 del 30-01-1963) permalink https://www.gazzettaufficiale.it/atto/serie_generale/caricaDettaglioAtt…

 

 

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