
L’arrivo a Bivona del professore di Ginnasio si presenta faticoso e irto di ostacoli. Sul dorso di una mula, l’insegnante fa il suo ingresso in una comunità estremamente arretrata di tremila abitanti, sospettosa e rassegnata alle leggi della povertà. Ciò che qui viene chiamato scuola si identifica in una camerata angusta dotata di un mobile denominato cattedra, con la pioggia che entra, oltre agli animali, dalla porta da cui proviene l’unica fonte di luce. Placido Cerri offre, in queste pagine, un lucido resoconto di un anno di insegnamento che è un calvario professionale in una Italia meridionale degli anni postunitari che assomiglia ad una terra straniera, decisamente lontana non solo dalla città d’origine del professore, ma anche dalle speranze di un riscatto culturale e sociale.